05 aprile 2007

Una Cuba poco libre

Ci si va in vacanza. Si ascolta il ritmo di una musica coinvolgente. Qualcuno va oltre: pensa all'istruzione di massa, alla sanità gratuita, ai mezzi di trasporto popolari. Poi, per chiudere il giro a volo d'uccello, sorseggia rum e Coca Cola. “Cuba libre”: così chiamano questo cocktail che entusiasma il turista e rende allegre giovani donne dalla pelle scura.

Ma Cuba è veramente “libre”? Libera dal pugno di ferro che schiaccia ogni minimo tentativo di esprimere il dissenso? L'immaginario del “Che” con il suo “hasta la victoria siempre!” e la gigantografia del Lider Maximo la fanno da padroni in un cielo che si profila denso di nubi dopo la malattia di Fidel e il trasferimento dei poteri al fratello Raul.
Cuba è diventata un unico penitenziario, una sala di tortura in cui ogni individuo perde un pezzo di libertà. Da Boniato a Combinado del Este, da La Cabaña a Guanajay, da Castillo del Principe a Pinar del Rio è un grido che si alza contro il regime castrista.
La maggior parte degli scrittori dissidenti è fuggita a Miami, negli Stati Uniti, altri ancora in Svezia e in Germania. Chi arriva in Europa, come Jorge Luis Arzola, è coperto da un piano di protezione. Chi rimane negli USA, come Angel Cuadra (presidente degli scrittori cubani in esilio) o Ernesto Diaz, racconta i soprusi della polizia politica e la storia di intere famiglie sterminate.

Ernesto Diaz. Nel suo libro “Prigionieri di Castro”, scrive “... si diressero verso il mare, spingendo coi remi mentre una piccola brezza, che soffiava da est, li aiutava ad allontanarsi dalla costa. Già si trovavano in pieno golfo, molto vicino alla rotta delle navi dell’Occidente che attraversano lo Stretto dello Yucatán, navigando alla volta del Canale di Panama.... Dapprima la motovedetta girò varie volte attorno alla zattera, illuminandoli coi potenti riflettori. Poi, si scagliarono contro la stessa, colpendo una volta e una seconda... Non servirono a nulla le grida della madre, che li implorava; a nulla il pianto disperato delle creature... L’odio fece più della ragione. Ad uno ad uno i bambini caddero nell’acqua feriti, massacrati... La mattina dopo il corpo della donna fu estratto dall’acqua quando i pescecani, attirati dal sangue, le avevano già divorato i seni e le braccia. I bambini non furono più trovati.”.
Il dramma cubano si è accentuato in questi ultimi tempi con il blocco totale dell'informazione via internet. Il regime castrista ha il controllo di tutti i siti web e providers dell'isola. Non è possibile per un privato accedere a un collegamento telematico senza essere intercettato dalla polizia politica. Chi lo fa con qualche accorgimento tecnico, lo fa a suo rischio ed è considerato nemico della Patria. Gli arresti di giornalisti web e scrittori si contano a decine.

Il 15 febbraio scorso. Il ministro per le Comunicazioni, Ramiro Valdés, dichiarò che internet “è un mezzo diabolico” e che il controllo di “quest'arma selvaggia” è indispensabile. Dunque gli arresti si sono intensificati con il ritmo di uno al giorno.
Cuba è tra gli ultimi posti al mondo per l'utilizzo della comunicazione in rete. Solo il 2 percento della popolazione possiede un computer ed è in grado di interagire. Solo l'Uganda e lo Sri Lanka sono a questo livello. Per usare una connessione è necessario recarsi nei punti pubblici, dove il controllo è sistematico. Le pene, in caso di violazione della legge sull'informazione, si aggirano sui 20 anni di reclusione per la pubblicazione di articoli su testate web straniere e 5 anni per essersi connessi illegalmente. La censura è totale.
I casi più eclatanti di scrittori e giornalisti attualmente perseguitati sono 38. Tra essi ricordiamo: Pedro Arguelles Moran (20 anni di reclusione), Victor Rolando Carmona (26 anni), Adolfo Fernandez Sainz (15 anni), Pablo Pacheco Avila (20 anni). Ma le perquisizioni, la chiusura di riviste dissidenti, gli arresti giornalieri e le violenze psicologiche sono migliaia.
Emanuele Bettini

(Peace Reporter, 5/4/07)

Nessun commento:

Posta un commento