13 novembre 2013

Zadie Smith, Denti bianchi (White Teeth, 2000)

il cerchio si chiude solo all'ultima pagina, una scrittura brillante e ricca
★★★☆ 

(p. 14)
«Arshad!»
Dal negozio uscì un tizio magro dall’aria sfuggente, con i baffi a manubrio e le mani sporche di sangue, vestito in quattro diverse sfumature di marrone.
«Arshad!» Mo, che si controllava a fatica, puntò il dito in direzione della macchina. «Ragazzo, te lo chiederò una volta sola.»
«Sì, Abba?» disse Arshad, spostando il peso del corpo da un piede all'altro.
«Che diavolo è, quella? Che ci fa, qui? Alle sei e mezzo mi arrivano le consegne. Alle sei e mezzo avrò per le mani quindici bovini morti da scaricare nel retrobottega. È il mio lavoro, lo capisci? Sta per arrivare la carne. Ecco perché sono sorpreso...» Mo assunse un’aria di innocente disorientamento. «Pensavo che questa dicesse “Area di scarico”.» Punto il dito verso una vecchia cassetta di legno con la scritta vietato il posteggio di qualunque veicolo in qualunque giorno. «Be’?»
«Non so, Abba.»
«Sei mio figlio, Arshad. Non ti do da lavorare perché tu non sappia...» Tese la mano fuori dalla finestra e dette uno scappellotto a Varin, che si teneva in bilico come un equilibrista sul selciato scivoloso. Il colpo dietro la testa fu tanto forte che per poco il ragazzo non fu sbalzato via dalla scala.
«Ti do da lavorare perché tu sappia. Perché tu raccolga informazioni. Perché tu porti la luce nella grande oscurità dell’inspiegabile universo del creatore.»
«Abba?»
«Scopri che cosa ci fa qui e liberatene.»
Mo scomparve dalla finestra. Un minuto dopo, Arshad tornò con la spiegazione. «Abba.»
Mo cacciò di nuovo la testa fuori dalla finestra, di scatto, come il maligno cucù di un orologio svizzero.
«Quello si sta gassando, Abba.»
«Cosa?»
Arshad si strinse nelle spalle. «Ho gridato attraverso il finestrino, ho detto a quel tizio di andarsene, e lui ha risposto: “Mi sto gassando, lasciami in pace”. Proprio così.»
«Nessuno si gassa sulla mia proprietà» esplose Mo, mentre scendeva a passo di marcia. «Non abbiamo la licenza.»
Una volta in strada, Mo avanzò fino alla macchina di Archie, strappò via gli asciugamani che tappavano la fessura del finestrino dalla parte del guidatore, e abbassò il vetro di una decina di centimetri, con forza leonina.
«Mi ha sentito, signore mio? Non abbiamo la licenza per i suicidi, da queste parti. Questo posto è halal. Kosher, capisce? Amico, se ha veramente intenzione di morire qui, temo che prima dovrà essere svuotato di tutto il suo sangue.»

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