20 luglio 2010

Wu Ming, 54 (02)

forse non all'altezza di Q, è però più pirotecnico e ugualmente ben scritto.
scaricabile gratuitamente su wumingfoundation.com
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(p. 3)
Non c'è nessun «dopoguerra».
Gli stolti chiamavano «pace» il semplice allontanarsi del fronte.
Gli stolti difendevano la pace sostenendo il braccio armato del denaro.
Oltre la prima duna gli scontri proseguivano. Zanne di animali chimerici affondate nelle carni, il Cielo pieno d'acciaio e fumi, intere culture estirpate dalla Terra.
Gli stolti gonfiavano il petto, parlavano di «libertà», «democrazia», «qui da noi», mangiando i frutti di razzie e saccheggi.
Difendevano la civiltà da ombre cinesi di dinosauri.
Difendevano il pianeta da simulacri di asteroidi.
Difendevano l'ombra cinese di una civiltà.
Difendevano un simulacro di pianeta.

(p. 163)
[...] una sera, un ubriaco inneggiò a Stalin nella piazza del paese. I fascisti gli saltarono addosso, sette contro uno. Vittorio si gettò nella mischia, ne stese qualcuno, ma fu sopraffatto e bastonato a sangue.
Così Pierre imparò a odiarli.
Pochi giorni dopo, Vittorio prese da parte lui e Nicola e con un occhio ancora pesto e mezzo chiuso gli elargì l'insegnamento più categorico e incisivo della sua vita, qualcosa da associare per sempre alla figura di Vittorio Capponi. Puntò gli occhi su di loro: – Non so può sempre stare a guardare.

(p. 217)
Le informazioni al Ministero arrivavano sempre di prima mano. Il Comitato aveva ereditato l’intera rete.
Pochi anni prima erano state scoperte le talpe che fin dagli anni Trenta lavoravano dentro il Servizio segreto britannico. Le voci di corridoio dicevano che alcuni di loro erano «rientrati» a Mosca e che quelli rimasti «fuori» avevano preso precauzioni, ridimensionando la propria attività. Comunque stessero le cose, era gente in gamba, che aveva fatto carriera dentro le file nemiche, rinunciando all’amor di patria per servire la causa del socialismo. Nessuno, eccetto i grandi capi, sapeva chi fossero, ma Zhulianov provava per loro grande ammirazione. Adesso anche lui aveva un ruolo nel meticoloso ingranaggio.
Il materiale che aveva in mano proveniva da Londra. Dieci cartelle dattiloscritte con le informazioni di cui aveva bisogno.
Non si trattava di rapire un agente nemico, uno scienziato che voleva cambiare bandiera o un residente che doveva rientrare. Niente di tutto questo.
La persona da prelevare era uno degli attori americani piú famosi, in realtà un inglese naturalizzato. Zhulianov ricordava tutti i film che gli avevano mostrato per perfezionare l’accento: decine, centinaia di film in cui la borghesia americana metteva in scena senza pudore la propria decadenza e corruzione morale. Drammi familiari, tradimenti, commedie degli equivoci, lusso ostentato. E gli squallidi film di guerra dove i russi non comparivano mai. Come se non fossero stati i primi a fermare Hitler, mentre gli angloamericani giocavano alle battaglie navali. I primi a entrare a Berlino, quando gli Alleati ancora arrancavano nei pantani del Reno.
Gli attori però non avevano colpa. Pezzi della grande macchina propagandistica americana, salariati di lusso che barattavano la dignità in cambio di gloria e denaro. In Unione Sovietica il cinema era al servizio del popolo. Nei paesi capitalisti il popolo era al servizio del cinema. Milioni di lavoratori storditi dalle commedie hollywoodiane perchè dimenticassero la condizione di sfruttati e corressero a spendere i soldi ai botteghini.
La fotografia di Cary Grant campeggiava in cima alla documentazione, insieme alla descrizione fisica e ai segni particolari. Le direttive erano chiare: avrebbe comandato una squadra di quattro elementi, militari preparati e motivati. Si trattava di individuare l’obiettivo, intercettarlo, quindi trasferirlo su una nave mercantile bulgara in rotta per Malta. L'ostaggio doveva restare a bordo della nave per settantadue ore. Poi essere rilasciato di fronte al comando della Military Intelligence a La Valletta.
Andrej Zhulianov pensò alla vecchia madre, a Kiev. Sarebbe stata fiera di lui.

(p. 465)
Hitch era di fianco a lui. Sagoma celeberrima, pancia prominente, testa pelata. Sguardo da cui il sarcasmo tracimava, ogni centimetro cubo del corpo intento a digerire la cena. Hitch era un lento stomaco antropomorfo. Il sarcasmo era acido cloridrico, l'immaginazione un gioco di enzimi, Hitch digeriva le forme di vita circostanti, proteine e vitamine per il corpus delle sue opere.
C'era anche Grace. Abito da sera blu scuro, piú nero del nero.
Cary la conosceva da pochi giorni. L'aveva ammirata a distanza, ora la ammirava da vicino. Concentrata senza rinunciare alla leggerezza. Provocante senza essere aggressiva. Bella e bionda senza essere vistosa. Bella e bionda.
Una sensazione di déja vu. Solo un istante.
Non vedeva l'ora di cominciare le riprese.
Tre schiene rivolte al bar del casinò, tre sorrisi e sei occhi, la varia umanità che cominciava a brulicare.

(p. 606)
Quindici, Dispari, Nero

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