05 ottobre 2010

E. Morris, The Fog of War (03)

la guerra secondo robert mcnamara. il punto di vista di chi ha il dito sul grilletto.
a tratti sconvolgente. guerra, morte e distruzione (reali, non teorici) con una ludicità e una fredda determinazione impressionanti. mcnamara si emoziona solo alla rievocazione della morte di jfk.
interessante, comunque la si pensi.
l'uomo ha la percezione della morte, della guerra e dei metodi che utilizza per annientare i propri simili? io probabilmente no.
esplode una bomba a peshawar, muoiono 100 persone. cento persone! penso all'ammasso di carne, all'odore, all'orrendo spettacolo, a tutte queste immagini superficiali, non considero le 100 esistenze che in pochi attimi vengono spazzate via, 100 famiglie sconvolte dal gesto di una persona.
seconda guerra mondiale, tokyo viene rasa al suolo da bombe incendiarie. una città come tokyo (ovvero delle dimensioni di new york, per dare al pubblico americano un'idea più congeniale) spazzata via da un giorno all'altro. sotto le macerie 100.000 morti. centomila. dresda rasa al suolo al 99%.
l'uomo brucia vivo il prossimo, il proprio simile, lo scioglie nell'acido. oppure, lo spegne lentamente in un gulag. che cosa si prova a uccidere, volontariamente e in maniera premeditata. bisogna possedere una predisposizione? l'umanità è buona o malvagia? o nessuna delle due? ha un senso porsi una domanda del genere? perché l'uomo è anche così bravo a odiare il proprio simile, gli viene così naturale? io voglio amare, non odiare. eppure, non ho difficoltà nell'odiare. io sono buono o malvagio? buono perché non ho mai ucciso nessuno?
è così facile?

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